Un documentario di Davide Vigore e Domenico Rizzo, sul trequartista dai piedi d’oro, che da tre anni vive nei vagoni abbandonati della Stazione centrale di Palermo. ll lungometraggio sarà presentato da Robertò Andò e Daniele Cipri, il primo dicembre ai Cantieri Culturali
“E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori che non hanno vinto mai ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro…”: la canzone di De Gregori sembra scritta proprio per Maurizio Schillaci. Il cognome è di quelli che si ricordano come il cugino delle notte magiche di Italia ‘90, ma la sua faccia meno. A raccontare la parabola discendente di un giocatore milionario della Lazio, ci hanno pensato due giovani filmaker siciliani del centro sperimentale di cinema del capoluogo siciliano, Davide Vigore e Domenico Rizzo, realizzando un documentario sul trequartista dai piedi d’oro che da tre anni vive sui vagoni abbandonati insieme ai clochard della stazione centrale di Palermo. Il lungometraggio sarà presentato da Robertò Ando e Daniele Cipri, l’1 dicembre ai Cantieri Culturali della Zisa. Abbiamo visto il film in anteprima e intervistato Davide Vigore.
Com’è nata l’idea di un documentario su Maurizio Schillaci?
In realtà prima volevamo intervistare il cugino Totò. Lui stesso ci ha raccontato che la sua attività calcistica era nata da bambino insieme a un suo cugino nelle strade del Capo. Un cugino sfortunato, Maurizio, forse più bravo di lui, che aveva subito un grave infortunio e non era riuscito a proseguire la sua folgorante carriera.
Perché raccontare la vita di un calciatore?
È un tema a me particolarmente caro, anch’io prima di dedicarmi al cinema militavo nella squadra dell’Enna e da ragazzo già giocavo nella categoria Eccellenza. Mi piace raccontare cosa c’è dopo il successo e molto spesso trovo solo una completa solitudine.
Come hai fatto a rintracciare Maurizio senza casa nè cellulare?
Ho frequentato per settimane la stazione centrale e gli amici che lo conoscono e poi ho scoperto che ogni giorno alla stessa ora è di fronte il Teatro Massimo alla tabaccheria Ribaudo. Gli ho spiegato il progetto e lui ha accettato subito nella speranza che si riaccendessero i riflettori sulla sua vita.
Come sopravvive?
Riesce a raccattare una decina di euro al giorno che gli servono per le sigarette e qualche birra. Un centro di assistenza gli assicura un pasto caldo, degli abiti e una doccia ogni tanto.
Chi sono i tuoi maestri, cinematograficamente parlando?
Sicuramente Felllini e Sorrentino. Da loro ho rubato l’idea di un personaggio centrale e di una struttura narrativa centrata su di esso, senza perdere di vista la visione circolare dell’ambiente.
A maggio ti diplomerai al CSC, quali saranno i tuoi prossimi progetti?
Ho iniziato a girare un documentario su Massimo Chiappini, il miliardario che ha ereditato la fortuna della famiglia Borghese ma anche lui vive in una situazione di emarginazione e di solitudine anche se dorata…
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