
Liliana Resinovich: le misteriose risposte che il perito di Sterpin non riesce a trovare
Il caso di Liliana Resinovich, la 63enne trovata morta il 5 gennaio 2022 nel bosco dell’ex Ospedale Psichiatrico di Trieste, continua a suscitare interrogativi e misteri. La sua scomparsa, avvenuta il 14 dicembre 2021, ha scosso l’opinione pubblica e ha portato a un’incessante ricerca di verità. Gli attesi risultati della super perizia sul suo corpo, previsti per il 28 febbraio, mirano a chiarire almeno 25 punti cruciali, tra cui la data della morte e la natura dei segni sul volto della vittima.
La questione più inquietante riguarda la natura del decesso. Dopo quasi tre anni dall’evento, l’ipotesi di un omicidio rimane una possibilità tra le tante. Sebastiano Visintin, marito di Liliana, e Claudio Sterpin, un amico con cui la donna aveva recentemente riallacciato i rapporti, sono stati al centro dell’attenzione, ma nessuno dei due è stato mai indagato. Questo ha alimentato speculazioni e preoccupazioni riguardo alla verità dietro la morte di Liliana.
La contro-perizia di Salvatore Spitaleri
Negli ultimi mesi, i legali di Sterpin, l’avvocata Alessia Pontenani e l’avvocato Gianluigi Comunello, hanno coinvolto il criminalista e biologo forense Salvatore Spitaleri, il quale ha redatto una “contro-perizia” che solleva dubbi significativi sulle indagini condotte. Secondo Spitaleri, Liliana Resinovich è stata uccisa. Ha affermato che, nonostante le competenze della Dottoressa Cristina Cattaneo, le condizioni del corpo, in avanzato stato di decomposizione, complicano le analisi.
I sacchi di spazzatura e il guanto nero
Un aspetto inquietante riguarda i sacchi di spazzatura in cui era avvolto il corpo di Liliana al momento del ritrovamento. Spitaleri ha evidenziato che i sacchi – due neri per la raccolta indifferenziata e due biodegradabili – non presentavano impronte della vittima, suggerendo che non fosse stata lei a indossarli. Inoltre, la mancanza di segni di putrefazione sul volto di Liliana, se avesse indossato i sacchetti biodegradabili, fa propendere per l’idea che qualcuno li abbia posizionati sul suo corpo dopo la morte.
La situazione si complica ulteriormente con il ritrovamento di un guanto nero, abbandonato a pochi metri dal cadavere. Analizzato dalla Polizia Scientifica di Milano, il guanto ha fornito campioni che non hanno portato a risultati utili per identificare chi lo indossava. Spitaleri ha criticato la quantità di campioni prelevati, sostenendo che tre campioni sono insufficienti per ottenere un profilo genotipico chiaro.
Testimonianza chiave e prospettive future
Un altro elemento cruciale è la testimonianza di una donna che ha affermato di aver visto un uomo vestito di nero, con barba bianca, la mattina del 5 gennaio. Questo uomo, secondo la testimone, stava cercando qualcosa con una torcia nei pressi del boschetto dove è stato trovato il corpo di Liliana. La tempistica di questo avvistamento potrebbe rivelarsi fondamentale per la risoluzione del caso.
Spitaleri suggerisce che l’uomo descritto dalla testimone potrebbe essere stato lì per recuperare il guanto, consapevole del rischio di lasciarlo sulla scena del crimine. Quest’ipotesi diventa ancora più inquietante considerando che sui sacchi neri che avvolgevano il corpo di Liliana sono state trovate tracce di tessuto, suggerendo una connessione diretta con l’uomo avvistato.
La situazione è aggravata dalle condizioni generali dell’indagine, che hanno sollevato interrogativi sulla competenza e sull’efficacia delle misure di raccolta delle prove. L’assenza di impronte, l’inefficienza dei campioni biologici e la mancanza di indizi concreti hanno creato un alone di sfiducia tra i familiari di Liliana e l’opinione pubblica, che chiede giustizia e chiarezza.
La speranza è che la super perizia del 28 febbraio possa finalmente fornire risposte concrete e chiarire i tanti punti oscuri rimasti irrisolti. Fino ad allora, il mistero di Liliana Resinovich continuerà a pesare sul cuore di chi l’ha conosciuta e su un’intera comunità in cerca di verità.