La giustizia riparativa: il sorprendente perdono di Lucia al suo aggressore
Ci sono storie che sfidano la comprensione comune, fratture apparentemente insanabili che, attraverso il perdono, riescono a ricostruire legami e a illuminare il cammino verso una nuova vita. Una di queste storie è quella di Lucia Di Mauro Montanino, un’assistente sociale di Napoli, che ha trovato la forza di perdonare l’assassino di suo marito, Gaetano Montanino, e ha intrapreso un percorso di aiuto per la sua riabilitazione. La sua vicenda è oggi al centro del podcast di Kayros intitolato “L’abbraccio che ripara – Perdonare un delitto”, ideato e narrato da Niccolò Agliardi, realizzato in collaborazione con la Fondazione Cariplo, e disponibile su Sky TG24 Insider e su altre piattaforme dal 27 febbraio.
La vita di Lucia ha subito un drammatico cambiamento il 4 agosto 2009, quando suo marito, guardia giurata, fu ucciso durante un tentativo di rapina da un gruppo di giovani. Questo evento ha segnato non solo la sua esistenza, ma ha anche aperto una riflessione più ampia sulla giustizia e sul perdono. Lucia ricorda quel giorno con una profonda amarezza: “È una storia che non ha una verità assoluta e non cerca un lieto fine a tutti i costi”, spiega Agliardi, parlando del podcast. “È una narrazione che dissolve le barriere tra buoni e cattivi, e per questo vale la pena raccontarla”.
Dopo la morte di Gaetano, per Lucia è iniziato un lungo percorso di elaborazione del lutto. È sempre stata una persona che si è dedicata agli altri, prima come volontaria e poi come assistente sociale. “Ripercorrere la mia storia non è stato facile”, confida Lucia, “ma questo grande sacrificio è stato fatto per dare voce a chi non ha avuto la mia fortuna”. La sua esperienza la porta a confrontarsi con la vita di giovani come Antonio, uno dei responsabili dell’omicidio di suo marito.
La consapevolezza che gli assassini avessero l’età di sua figlia ha aggiunto un ulteriore strato di dolore: “Sapere che erano ragazzi come me, con sogni e speranze, è stato più violento della morte di Mimmo”, racconta Lucia riferendosi affettuosamente a suo marito. La sua rinascita, però, è iniziata con il ritorno al lavoro e il contatto con i giovani, anche in contesti difficili come le carceri minorili. Qui ha incontrato il più giovane degli assassini di Gaetano, che si sentì male quando si riconobbe nelle sue parole e chiese di conoscerla.
Nel 2011, Lucia si trovava di fronte a un’importante scelta: accettare di incontrare Antonio. “Non si parlava ancora di giustizia riparativa”, riflette Lucia, “ma io dissi di sì, nonostante i miei timori”. La società, infatti, spesso tende a vedere il male come qualcosa che deve essere ripagato con altro male. Tuttavia, il primo incontro con Antonio, avvenuto quasi per caso durante un corteo di Libera a Napoli, ha cambiato tutto. “Mi aspettavo un mostro, ma ho visto un ragazzo, un’anima ferita dal male che lui stesso aveva provocato”, ricorda Lucia. L’incontro si è concluso con un abbraccio che ha segnato l’inizio di un percorso di riabilitazione e riconciliazione.
Oggi Antonio, che si trova ai domiciliari, è padre di due figli. La sua possibilità di riscatto è legata a Lucia, che ha trasformato il suo dolore in speranza. Grazie al suo sostegno, Antonio è riuscito a evitare il trasferimento in un carcere per adulti e ha trovato lavoro in una cooperativa sociale che gestisce un bene confiscato alla mafia, intitolato proprio a Gaetano Montanino. Questo gesto di Lucia ha creato un legame profondo, in grado di sanare ferite e promuovere la rinascita.
La storia di Lucia e Antonio è anche un riflesso dell’impegno della comunità Kairos, che lavora quotidianamente per il reinserimento sociale di giovani in difficoltà. Da questa comunità è nato anche il brano “Come te lo spiego”, che fa da sigla al podcast. Tuttavia, nonostante i progressi, Lucia sa che c’è ancora molta strada da percorrere per offrire speranza a chi non l’ha mai avuta. “L’unica persona che Antonio ha trovato uscendo dal carcere sono stata io”, racconta, evidenziando l’importanza di un accompagnamento serio e strutturato. “Questi ragazzi devono avere una seconda possibilità, che per loro è la prima”.
Il messaggio di Lucia è chiaro: la giustizia riparativa non è solo un concetto astratto, ma una pratica concreta che può cambiare vite. Non si tratta di ignorare il dolore o la sofferenza, ma di costruire un ponte di comprensione e supporto tra chi ha subito e chi ha sbagliato. “Io sono ‘presuntuosa’, ho grandi ideali”, conclude Lucia, “ma dobbiamo essere tutti insieme, fare rete”. L’esperienza di Lucia e Antonio dimostra che, anche nelle situazioni più buie, la luce del perdono e della riabilitazione può illuminare il cammino verso una nuova vita.