
Il mistero della buca: il fratello di Saman Abbas rompe il silenzio
Il processo per la morte di Saman Abbas, la giovane pakistana uccisa a soli 18 anni a Novellara (Reggio Emilia), ha ripreso oggi nell’aula della Corte d’Assise e d’Appello di Bologna. Questo caso ha generato un intenso dibattito pubblico e un’attenzione mediatica che continua a crescere, date le drammatiche circostanze familiari e gli eventi che hanno portato alla morte di Saman.
Oggi, ha preso la parola Ali Heider, il fratello di Saman, la cui testimonianza è considerata cruciale per il prosieguo del processo. Ali, all’epoca dei fatti solo 16enne, potrebbe contribuire a nuove condanne in appello. Nella sentenza di primo grado, i genitori di Saman, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, sono stati condannati all’ergastolo per il loro ruolo nell’omicidio della figlia, mentre lo zio Danish Hasnain ha ricevuto 14 anni di reclusione. I cugini Ikram e Nomanhulaq sono stati invece assolti.
La testimonianza di Ali Heider
Durante la sua testimonianza, Ali ha ricostruito i giorni precedenti la scomparsa della sorella, rivelando dettagli inquietanti. Ha menzionato una buca, dove Saman è stata successivamente ritrovata, affermando che fosse stata scavata dallo zio e dai due cugini. “Ho visto la buca in cui era stata seppellita Saman sui giornali”, ha dichiarato, rispondendo alle domande del pubblico ministero Silvia Marzocchi.
Il presidente della Corte, Pasquale Domenico Stigliano, ha chiesto ad Ali come fosse arrivato a questa conclusione. Il giovane ha raccontato di un episodio in cui, mentre era con lo zio Danish davanti al negozio di Bartoli, il parente lo aveva mandato a casa, dicendogli che lui e i cugini dovevano “andare a fare un lavoro di pulizia dei tubi”. Quando Ali aveva chiesto di unirsi a loro, l’uomo gli aveva risposto: “No, cosa vieni a fare? Vai a casa a fare il Ramadan”. Questa risposta aveva insospettito Ali, facendogli percepire che qualcosa di grave fosse accaduto.
Il clima di paura e silenzio
Ali ha rivelato di aver chiesto ripetutamente ai cugini e allo zio dove fosse Saman, ricevendo spesso risposte evasive. “Mi dicevano di stare zitto mentre io piangevo”, ha raccontato, evidenziando un clima di paura all’interno della famiglia. In un momento toccante, ha condiviso che una volta i cugini gli avevano detto: “Non ti preoccupare, perché là dov’era stava bene, che era in paradiso”. Queste parole hanno segnato profondamente Ali, che ha vissuto un trauma emotivo intenso dopo la scomparsa della sorella.
“Prima ero traumatizzato e non avevo neanche la forza di parlare, avevo paura”, ha spiegato Ali. Tuttavia, ha deciso di rompere il silenzio e testimoniare per la giustizia di Saman. La sua testimonianza è un atto di coraggio, in un contesto familiare dove le pressioni per mantenere il segreto erano forti. “Mio papà mi diceva di non parlare dei cugini, mi diceva ‘almeno quelli che si sono salvati lasciali fuori’”, ha rivelato, sottolineando le dinamiche familiari che ostacolano la verità.
Riflessioni sulla giustizia e la cultura
Questa situazione complessa è aggravata dalle norme culturali e sociali che influenzano il modo in cui le famiglie affrontano le tragedie. In molte comunità, il concetto di onore è profondamente radicato, portando a comportamenti di omertà e silenzio, specialmente quando si tratta di crimini che coinvolgono membri della famiglia. Il caso di Saman Abbas è emblematico di queste problematiche, rivelando come le pressioni familiari e culturali possano ostacolare la giustizia.
Il processo in corso non è solo una questione legale; è un momento di riflessione per la società italiana su temi come la violenza domestica, l’integrazione e il rispetto dei diritti umani. La testimonianza di Ali Heider rappresenta un importante contributo per il processo e un richiamo alla responsabilità collettiva nel garantire che la verità venga alla luce.
Con la ripresa del processo e le nuove testimonianze, la speranza è che si possa finalmente fare chiarezza su quanto accaduto. La memoria di Saman Abbas deve servire come monito per una società che deve affrontare le sue ombre e lavorare per un futuro più giusto e inclusivo.